C’è un momento, nel cuore del mondo, in cui il tempo smette di correre. È il momento in cui la pioggia dei monsoni batte sui tetti di latta come un tamburo antico, e tu resti lì, in ascolto, con il registratore acceso e il cuore aperto.
È successo in Thailandia, tra i fiumi e le foreste, tra il canto dei monaci e dei corvi, tra il fruscio delle foglie di banyan e delle onde del Chao Phraya.
Sono arrivato a Bangkok in una sera umida, avvolto nel profumo di spezie, benzina e incenso. Le strade brillavano di luci rosse e blu, e i tuk-tuk correvano come libellule impazzite tra i mercati notturni. Tra i palazzi di vetro e i fili elettrici che sembrano ragnatele, la città respira un ritmo suo, indifferente a chi arriva da fuori. Bangkok è caos, ma un caos con un ordine invisibile. C’è un’armonia segreta nella dissonanza dei clacson, nei mercati che non dormono mai, nei monaci che camminano scalzi al mattino con le ciotole vuote.
Ho registrato tutto, perché ogni rumore sembrava raccontare un frammento d’anima di questo popolo sorridente, semplice e profondamente saggio.

Il fiume sacro e i suoi motori.
Sul Chao Phraya ho viaggiato a bordo di una barca lunga e sottile, spinta da un motore di camion che ruggiva come una bestia meccanica. Le acque, dense e scure, custodiscono il riposo di innumerevoli anime thailandesi, le cui ceneri, dopo la cremazione, vengono disperse proprio qui.
Il Chao Phraya rifletteva il cielo pieno di nubi, e ogni sponda era un piccolo universo: templi dorati, case su palafitte, bambini che ridevano e salutavano. Tra le onde e il rombo del motore, sentivo la vita scorrere: forte, caotica, vera.

Ayutthaya
Poi c’è stata Ayutthaya, l’isola sacra, cuore antico della Thailandia. Le rovine dei templi, i Buddha di pietra con la testa avvolta dalle radici, i riflessi del tramonto sul fiume, tutto parlava di tempo, di eternità, di silenzio. Ho camminato tra quelle pietre come in un sogno, con i suoni della foresta in sottofondo e la sensazione che il mondo intero respirasse con me.

Il treno del mercato – Maeklong
Uno dei momenti più incredibili è stato al Mercato del treno di Maeklong. Là, tra i banchi di frutta e pesce, il treno arriva davvero, lento e inesorabile, e i venditori spostano i tendoni e le merci come in una danza perfetta, millimetrica, ogni giorno. Il fischio del treno, le ruote sui binari, la vita che si apre e si richiude al suo passaggio, è musica pura, un ritmo antico che unisce uomini e macchine, lavoro e poesia.

Nella foresta di Khao Sok
Il suono qui non si ascolta: si sente dentro. È il respiro antico della terra. Gli elefanti attraversano la giungla come presenze silenziose, le scimmie osservano dai rami con sguardi curiosi, e gli insetti intessono melodie che nessun uomo saprebbe scrivere. Ho registrato anche lì, dove la natura parla sottovoce e ogni battito sembra ricordarti che, in fondo, apparteniamo a qualcosa di molto più grande.

E poi ci sono stati i templi:
Wat Pho, con il Buddha sdraiato che dorme e sorride sotto le campane dorate.
Wat Arun, il tempio dell’alba, che si specchia sul fiume come un sogno di pietra.
E poi su in cima alla Montagna d’Oro (Wat Saket), dalla cima si vede tutto: la distesa dei tetti, le antenne, il fumo delle cucine, la luce che cambia colore sulla pelle della città. I monaci Theravada girano in silenzio intorno allo stupa, con movimenti lenti, precisi. In alto, il vento muove le bandiere di preghiera; in basso, la città continua a correre.

Il tempio avvolto dall’albero – Wat Bang Kung
C’è un tempio, non lontano da Ayutthaya, dove la natura e la fede si sono fuse in un unico respiro. Si chiama Wat Bang Kung, e il suo cuore è un piccolo santuario inghiottito dalle radici di un antico albero di banyan. Le radici si arrampicano sui muri, li avvolgono, li abbracciano, come se la terra stessa volesse proteggere quel Buddha antico del quindicesimo secolo, seduto in silenzio dentro il suo grembo verde.
Quando siamo entrati, l’aria profumava d’incenso e di umidità. I devoti si accostavano piano, attaccando piccole lamelle d’oro sulla pelle del Buddha, finché la sua superficie non brillava come un sole d’alba. In quel momento ho sentito che la spiritualità thailandese è viva proprio lì nella fusione tra pietra e radice, tra uomo e natura, tra il tempo e il respiro.

Il mercato galleggiante di Damnoen Saduak
Poco lontano dai binari di Maeklong, l’acqua diventa strada e la vita scorre lenta tra le barche. Al mercato galleggiante di Damnoen Saduak, le voci dei venditori si riflettono sull’acqua come canti antichi. Barche di legno cariche di prodotti si incrociano in un balletto denso di profumi tropicali, mentre il sole disegna riflessi dorati sui cappelli di paglia delle donne che vendono mango, spezie, zucche, fiori di loto. Le barche si sfiorano, si chiamano, si urtano, ma nessuno si arrabbia: ognuno trova il proprio spazio nel flusso. L’acqua è il pavimento, il tempo il mercante.

La notte di Loi Krathong
C’è stata una notte, forse la più magica, quella del Loi Krathong. Le acque si riempivano di piccole barche di fiori e candele, leggere, come pensieri che si dissolvono nel vento. Ogni lanterna portava con sé un desiderio, ma anche un distacco: la promessa silenziosa di lasciar andare ciò che pesa, ciò che non serve più. Anch'io ho promesso, sarà difficile ma devo lasciare andare... Mentre la mia piccola luce scivolava via sul fiume, ho sentito che non era un addio, ma un atto d’amore: il lasciare andare come forma di fiducia, di apertura, di pace. Intorno a me, la gente pregava e sorrideva. Era come se la Thailandia intera respirasse luce e nel respiro della notte, ho imparato che la libertà non è possedere, ma lasciar fluire.

Muay Thai – l’anima del combattimento
Nel Rajadamnern Stadium, il suono cambia. È tamburo, è lotta, è onore. Il Muay Thai non è solo sport: è una danza rituale, una preghiera in movimento. Ogni colpo, ogni inchino, ogni ritmo del tamburo racconta una storia di disciplina e di spirito .Ho sentito il sudore, la tensione, la grazia. E anche lì, ho registrato, perché ogni battito di tamburo sembrava il cuore stesso della Thailandia.

La Thailandia, specchio dell’anima
La Thailandia non è solo il Paese del sorriso. È un luogo dove il tempo non ha fretta, dove la fede non si proclama ma si vive, dove la leggerezza convive con il dolore, e il rumore con il silenzio. È un Paese che non cerca di insegnarti niente, ma che ti lascia davanti a te stesso come uno specchio d’acqua in cui puoi vedere solo quello che sei disposto a guardare. E in Thailandia, ogni cosa parla: la pioggia, i templi, i mercati, i fiumi. È un canto infinito, e io, con il mio microfono e il mio cuore, ho solo cercato di accordarmi a quella musica.

Marco Ghianda